giovedì 26 giugno 2014

Se la Morte arriva, mi trova vivo!

di Brando il brownie

L’essere umano, in quanto mortale, ha sempre temuto l’evento morte, la fine degli avvenimenti e del ciclo vitale che pone il termine ultimo ai sogni, alle speranze e ai progetti di ognuno.
Tralasciando però il concetto fin troppo chiaro fornito dalla biologia, e quello certamente più controverso d’ispirazione al pensiero filosofico, parliamo dell’aspetto più affascinante: la personificazione della Morte.
In letteratura, nei fumetti e al cinema, tutti avrete visto la macabra figura del Tristo Mietitore, inquietante personaggio scheletrico abbigliato con un saio o una tunica neri, e armato di una lunga falce. Ma a quando risale questa ormai classica iconografia? E perché l’uomo ha avuto bisogno di dare un corpo (se di corpo si può parlare) all’inevitabile termine di ogni ciclo vitale?
La risposta non è facile, ma in queste poche righe cercherò di mettere ordine nelle fantasie contorte degli esseri mortali.

Nella religione.
Se cercate tracce della personificazione della Morte in giro per il mondo, ne trovate praticamente in ogni religione: nelle tradizioni Indù e Buddhista troviamo la figura di Yama, la divinità preposta al trapasso delle anime, ma il suo aspetto, per quanto terrificante e mostruoso, è perlopiù umanoide e ben lontano dalla figura scheletrica ben nota; nella mitologia giapponese il custode degli Inferi è Enma, un essere più simile ad Ade che al Mietitore. La figura dello Shinigami (letteralmente “Dio della morte”, reso peraltro popolare da una noto manga), poi, è ciò che più si avvicina al Tristo Mietitore, ma è un mito di recente creazione risalente al periodo Meiji (1868 d.c. -1912 d.c.) e probabilmente importato proprio dall’Europa; nella cultura ebraica l’Angelo della Morte fu creato dal Signore il primo giorno, mentre per il mondo islamico è Azrael che assolve al ruolo di personificazione della Morte.
Quando e dove nascono, quindi, i comuni elementi che caratterizzano la personificazione della Morte in occidente?

sabato 15 febbraio 2014

Qui vertit pellem, ovvero il buon vecchio lupo mannaro


di Brando il brownie


Il regno della Fantasia è popolato da numerose creature. Alcune sono buffe; altre divertenti o dispettose; altre ancora terrificanti.
C’è una figura in particolare che la letteratura e, nel corso dell’ultimo secolo, il cinema, hanno consegnato all’immaginario collettivo come la più terrificante e ferale: il licantropo, o lupo mannaro, se preferite.
Eppure, per chi la sa lunga, le cose non sono sempre state così; sono state travisate e stravolte dalla stessa cultura che le ha create, così come è accaduto anche per quelle antiche e potenti divinità che un giorno smisero di essere celestiali per divenire ultraterrene e a volte goliardiche (parlo del Piccolo Popolo, ma ora abbiamo una latro “cane” da pelare).
L’origine del rapporto fra uomo e lupo si perde nella notte dei tempi. Prima ancora della narrative, le leggende parlavano di uomini in grado di trasformarsi in lupi, e spesso questi uomini e donne erano delle vere e proprie divinità, venerate e amate dai comuni mortali come nel caso di Latona, madre di Apollo e Artemide. Non a caso, il tempio di Apollo eretto ad Atene era circondato da un bosco sacro chiamato Lycaion (letteralmente “territorio del lupo”); bosco nel quale Aristotele teneva le sue lezioni e da cu deriva il termine “Liceo”.
Celti e Sabini vantavano con orgoglio discendenze lupine, mentre gli antichi romani rendevano gloria alla nota lupa senza la quale Romolo e Remo sarebbero morti,  mancando la creazione della più grande potenza dominatrice che la storia ricordi.
Tali esempi denotano un’eredità ancora più antica, risalente a quelle popolazioni nomadi per cui la riuscita di una caccia poteva far la differenza fra la vita e la morte. Il lupo era un animale sacro, il cacciatore per eccellenza da ingraziarsi perché concedesse le sue abilità all’uomo.
Il grande predatore venne buttato giù dal piedistallo quando le culture nomadi divennero stanziali. Ora che la sopravvivenza dipendeva dall’agricoltura e l’allevamento delle greggi, il lupo era visto come un pericolo, una bestia sanguinaria da cacciare o ancor meglio uccidere. Chiunque fosse in qualche modo collegato a quella figura oscura, che furtiva si muoveva appena oltre la luce dei falò, divenne malvagio e maledetto, un mostro da evitare a ogni costo.

lunedì 9 dicembre 2013

La vera storia di Babbo Natale

di Brando il brownie


Cosa hanno in comune un santo cristiano, il dio Odino e un demone delle tribù germaniche? Forse proprio il simpatico omone dal viso rubicondo che in questo periodo troviamo raffigurato un po’ dappertutto.
Ma facciamo un po’ di ordine.

Nella gran parte dei paesi cristiani il personaggio di Babbo Natale viene affiancato alla figura di S. Nicola (Santa  Claus), vescovo del IV secolo originario della Turchia, che secondo una tradizione ritrovò e resuscitò cinque bambini uccisi da un oste, divenendo così il protettore dei pargoli. In molte aree d’Europa (in particolare  Paesi Bassi, Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Repubblica Ceca, Slovenia e in parte dell'Italia nordorientale) viene ancora rappresentato con abiti vescovili (porporati, avete presente?) e la folta barba bianca.
Quel S. Nicola di Myra (città dell’Anatolia) è lo stesso santo che in Italia conosciamo come Nicola da Bari.
Da qui, le variazioni sono tante: San Nicola è il patrono della città di Amsterdam e della Russia. Nei Paesi Bassi, in Belgio e in Lussemburgo viene chiamato Sinterklaas (da cui sembra derivi il nome Santa Claus) e tradizionalmente porta i suoi doni il 5 di dicembre; qui troviamo un Babbo Natale differente, chiamato Kerstman (l'Uomo del Natale), che differisce da Sinterklaas.
In alcune aree delle Fiandre e del Belgio si festeggia invece S. Martino di Tours. Nei paesi ortodossi è frequente la figura di S. Basilio che porta i suoi doni ai bambini a Capodanno per quanto in Romania, ad esempio, esiste anche la figura di  Mos Craciun, identificabile col classico Babbo Natale.

venerdì 22 febbraio 2013

Letture ludiche

Immagine Wikipedia
di Brando il brownie

“Una matita, una gomma e una buona dose di coraggio e immaginazione: non occorre altro per addentrarsi tra le pagine dell’avventura”.

Durante la lunga pausa che ci ha portati a questa nuova pubblicazione, ho avuto occasione di leggere una collana di libri trovata su un polveroso scaffale e mollata lì da chissà quanto tempo. Erano libri che raccontavano storie fantastiche, ma lo facevano con uno stile narrativo tutto diverso: anziché svolgersi linearmente, al termine di ogni paragrafo era necessario che io (nei panni del protagonista) compissi una scelta per essere portato a un paragrafo numerato successivo e quindi andare avanti con la storia. Oppure morire e finirla lì.
È stato così, chiedendo e leggendo qua e la che sono venuto a conoscenza del genere dei librigame.
Ma di cosa si tratta?

lunedì 8 ottobre 2012

La notte delle streghe... e degli altri mostri

di Brando il brownie

Siamo giunti a ottobre ed io, in quanto creatura del Piccolo Popolo, rido.
Rido nell’osservare zucche lavorate nei vostri negozi, rido nel vedere le maschere e gli addobbi stregoneschi nelle vetrine, rido all’idea di quei bambini che vanno casa per casa, laddove qui in Italia siete riusciti a copiare alla perfezione la festività americana (come a Pomezia, dove risiede Cronache dell’Insolito), e pronunciare la ormai d’obbligo frase: dolcetto o scherzetto?
Siamo nel periodo che precede Halloween, la notte a cavallo fra il 31 ottobre e la festa di Ognissanti, il 1° di novembre; la notte delle streghe, quando le creature dell’ignoto attraversano il sottile confine che le divide da noi e tutto è possibile.
Perché rido? Lecito chiedere, cortesia rispondere.
Rido per l’ignoranza che la gran parte di voi dimostra in prossimità di queste ricorrenze, ma non preoccupatevi, non ho intenzione di fare di tutta l’erba un fascio. Tuttavia sono convinto che se chiediamo in giro, la gran parte delle persone alla domanda “Cos’è Halloween?” risponderà “Una grande festa che viene dall’America!”, oppure “La festa dedicata ai mostri, la paura e il genere horror”.

lunedì 20 agosto 2012

Ho giocato quel libro!

di Brando il brownie


Negli ultimi anni il mercato ludico dei giochi da tavolo, dei videogame e dei giochi di ruolo è andato via via a ingrossarsi con titoli sempre nuovi. Anche se il boom del settore c’è stato fra gli anni ottanta e la metà dei novanta, i primi anni del ventunesimo secolo hanno assistito al susseguirsi di riedizioni, novità, espansioni e adattamenti di vario genere di vecchi e nuovi giochi.
Se ogni branca del mondo ludico vanta pietre miliari come Risiko, Monopoli, Dungeons & Dragons o Resident Evil, in grado di ispirare racconti e romanzi, è vero anche che da sempre la letteratura ha ispirato giochi per ogni gusto e genere.
Era l’inizio degli anni settanta quando un gioco di miniature con ambientazione fantastica, Chainmail, faceva la sua prima comparsa nel mondo dei wargame. Uno dei suoi creatori, Gary Gygax (che gli appassionati di D&D certamente conosceranno), aggiunse regole per gestire elementi fantasy – come elfi, nani, troll ecc. – ispirandosi principalmente al Signore degli Anelli, la maestosa opera di J. R. R. Tolkien; lo stesso termine vorpal, reso leggendario da D&D, è preso in prestito dalla poesia Jabberwocky contenuta in Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, di Lewis Carrol. Ma questo non è che un pallido inizio.